Nonostante la Corte Costituzionale abbia riconosciuto la piena legittimità della metodica in Italia della fecondazione eterologa, su 10mila coppie che ne fanno ricorso, un terzo preferisce ancora recarsi all’estero.
È quello che viene definito “turismo procreativo”. Ma perché c’è chi ancora preferisce andare fuori? Il problema viene evidenziato dal docente di Biodiritto all’Università di Firenze e Direttore della Fondazione Pma Italia, Gianni Baldini, il quale afferma che “La causa della mancata fruizione è dovuta essenzialmente all’assenza totale di donatori e donatrici“.
Questo accade in quanto “in Italia non esiste una normativa applicativa che consenta il rimborso dei costi, delle spese e la copertura per l’assenza al lavoro del donatore. Ciò rende necessaria l’acquisizione di gameti da Banche straniere, a prezzi rilevanti. A questa situazione si aggiungono le liste d’attesa, gravose nei pochi centri pubblici in cui l’eterologa viene realizzata“, spiegano dalla Fondazione Pma.
Ma anche le varie regioni risultano essere disomogenee tra di loro.
“A sud di Roma – illustra Baldini – tranne qualche eccezione, è impossibile accedere a centri pubblici: non esistono o hanno liste di attesa impossibili“.
“Queste condizioni – conclude la Fondazione Pma- determinano un “turismo procreativo”: poiché però le realtà che non offrono il servizio sono anche in stato di rientro finanziario, le prestazioni effettuate fuori regione non possono essere rimborsate. Fino all’approvazione delle tariffe Lea, continuerà la discriminazione tra pazienti“.